Nell’antica Grecia, quando chiunque, schiavo o soldato, poeta o politico, doveva prendere una decisione importante per la propria vita, come, “Dovrei sposarmi?” o “Dobbiamo fare questo viaggio?” o “Il nostro esercito dovrebbe avanzare in questo territorio?” consultava l’oracolo.
Funzionava così: si poneva una domanda, ci si inginocchiava, e l’oracolo cadeva in trance. Ci voleva un paio di giorni, e poi lei ne sarebbe uscita, dando una profezia come risposta. Dalle ossa oracolari della Cina antica all’antica Grecia, ai calendari Maia, le persone avevano bisogno delle profezie per sapere cosa sarebbe accaduto.
Questo perché tutti vogliamo prendere la giusta decisione. Non vogliamo perdere niente. Il futuro ci spaventa, per cui è meglio decidere conoscendo le possibili conseguenze.
Beh, abbiamo un nuovo oracolo, e si chiama big data
Tricia Wang – TEDxCambridge | September 2016
Così iniziava il suo intervento Tricia Wang al TedxCambridge nel 2016 dal titolo: “Le intuizioni umane che mancano nei Big Data” (qui l’articolo integrale su Medium che spiega bene il suo pensiero).
Comprendere i dati e utilizzarli per veicolare le decisioni è la chiave del successo.
Abbiamo già visto quali sono i dati e le metriche inutili e invece quelle utili; tuttavia si fa sempre più strada, a mio modo di vedere giustamente, la consapevolezza che spesso i dati non vengono interpretati nel modo corretto in quanto non siamo a conoscenza delle dinamiche che li hanno generati (il famoso contesto).
I Big Data ci hanno essenzialmente dato una mano a capire il “chi”, il “come”, il “quando” e il “dove”, di una determinata analisi ma difficilmente riescono a spiegarci il “perché”. Solo attraverso l’analisi anche degli indizi emozionali, ovvero i problemi, i desideri, che abitano le nicchie di pensiero più impensate, e che svelano i meccanismi decisionali delle persone nei loro stili di vita da cui possono sorgere i veri insight necessari a spiegare i comportamenti descritti dai Big data. Questi nuovi dati, più qualitativi che quantitativi, vengono per l’appunto denominati Thik Data (dati spessi).
Anche il grande Martin Lindstrøm, guru del neuromarketing e personaggio inarrivabile per le sue illuminazioni (se volete leggetevi il libro Small Data), a modo suo affermava che:
Mentre i Big Data forniscono una quantità infinita di informazioni impersonali utilizzate per predire gli orientamenti futuri dei business e dei brand, soltanto dati individuali e unici provenienti da singoli esseri umani possono rivelare la verità e portare a una vera comprensione della realtà.
Martin Lindstrøm
Con tutto questo non voglio dire che i Big Data non abbiano senso, anzi, ma è indubbio che i Thik Data e i Big Data siano tra di loro complementari e solo assieme possano darci una reale visione dello stato delle cose.
P.S.
Un ringraziamento a Francesco Agostinis che ha riproposto questo video qualche settimana fa e mi ha fatto riuscire dal cassetto questa perla che già all’epoca mi aveva impressionato per la sua lungimirante visione sull’utilizzo dei dati.